Si è svolto al piano superiore di villa Carmine l’incontro sul tema “riqualificare Martina Franca partendo da villa Carmine”, organizzato dall’associazione “La città possibile”, presieduta dall’architetto dott. Giancarlo Mastrovito. Un incontro che ha voluto concedere uno spazio, reale e simbolico allo stesso tempo (dell’incuria e del degrado in cui versano molte zone della nostra città), per la discussione pubblica e non solo. Lo scopo dell’incontro, infatti, non è stato solo quello di “parlare delle cose che non vanno”, ma di raccogliere le proposte per presentarle all’amministrazione comunale.
Come ha voluto evidenziare il presidente Mastrovito, discutere della cosa pubblica è particolarmente importante in un momento storico come il nostro, dove sembra che il cittadino abbia delegato completamente le sorti della città. Lo stato del tennis club, con infissi distrutti, e saturo di escrementi e di siringhe, ne è una squallida testimonianza, ancora più intollerabile se si considerano i finanziamenti per gli immobili erogati dalla Regione Puglia. Occorre, quindi, un interesse per il bene pubblico che vada di pari passo con il superamento della mentalità che “nelle proprie case tutto ha un valore, fuori no”. E, soprattutto, un ruolo attivo del cittadino nel controllo della spesa pubblica. Perché, come è stato sottolineato da interventi successivi, gli amministratori sono nostri dipendenti che maneggiano il denaro pubblico, e di cui sono tenuti a dar conto.
Diverse le iniziative e i nodi critici evidenziati e discussi nel corso dell’incontro, a partire da villa Carmine fino a comprendere tutta la città. Sono stati messi in luce, in particolare, i problemi del parcheggio (soprattutto nelle zone di via Carmine e via Pietro del Tocco, e connessi al problema generale della mobilità urbana e extraurbana), e del diffuso senso di illegalità. Le proposte hanno riguardato iniziative di presidio di villa Carmine, un’apertura della stessa sulla Valle D’Itria per attirare il flusso turistico, un piano di gestione del verde, organizzazione di premi letterari, iniziative ludico-commerciali.
Nel proporre non è inoltre mancato il dilemma se il problema sia la mancanza di idee o la “mancanza” di chi a quelle idee dovrebbe dare concretezza. Nel considerare i problemi della città, ma anche nella lampante diserzione dell’incontro da parte dei nostri amministratori (fatta eccezione per il consigliere regionale Donato Pentassuglia), è emerso che ciò che manca non sono le idee. E nemmeno la buona volontà da parte di molti cittadini, se si considera la presenza nel territorio Martinese di 286 associazioni.Ciò che manca è la pianificazione degli interventi e delle proposte e, in secondo luogo, il coordinamento dei vari attori sociali, economici, istituzionali. Il volto politico di Martina attualmente, secondo le parole dello stesso consigliere Pentassuglia, è quello di una città senza politica, di cattiva gestione dell’amministrazione. Esempio concreto sono i 340.000 euro dati a Martina dalla Regione per i trasporti pubblici, o il piano urbanistico triennale che, ancora, “parla del nulla”, come la più recente mancanza nell’individuazione del suolo per il distretto sanitario.
Sono nel programma dell’associazione “La città possibile” iniziative per una riqualificazione del territorio. Perché la speranza è una sfida, e i vari stati di “emergenza” in cui ci troviamo sono il risultato storico di responsabilità collettive e individuali eluse che hanno appannato l’orizzonte delle nostre attese, chiudendoci nelle gabbie dei nostri individualismi. La famiglia non educa più perché è diventata, secondo le parole del sociologo Pierpaolo Donati, “autopoietica”. E’ diventata, cioè, “generatrice di se stessa”, dimenticando la sua funzione sociale, e cadendo nelle maglie di uno sterile intimismo domestico, spesso antisociale (il mondo esterno lo si guarda, ma solo per giudicarlo come passatempo per la noia). Ma non è solo la famiglia ad essere diventata autopoietica. Tali sono, infatti, tutte quelle istituzioni che, deluse dall’abbandono della politica, hanno perso le finalità istituzionali e cercano di “fare da sè”, dettandosi le proprie norme. Serve ricordare allora la responsabilità politica in primis, perché le istituzioni non si sentano abbandonate, ma tornino ad essere cellule vive, erogatrici di ossigeno per la città.
Dice don Tonino Bello «Se uno mi chiedesse a bruciapelo: “Dammi una definizione di quel che dovrebbero essere i politici, io risponderei subito: “Operatori di pace”. (…)Pace è giustizia, libertà, dialogo, crescita, uguaglianza. (…)Pace è temperie di solidarietà; (…) l’unico imperativo morale (…)Pace è il frutto di quella che viene chiamata oggi come “etica del volto” (…)vivere radicalmente il “faccia a faccia con l’altro”. E, infine e soprattutto, “deporre l’io dalla sua sovranità, far posto all’altro e al suo indistruttibile volto».
Annalisa Scialpi