Il rilancio della Cittadella della carità è un atto di coraggio verso Taranto e il suo territorio – Lo Stradone

Il rilancio della Cittadella della carità è un atto di coraggio verso Taranto e il suo territorio

“Il rilancio della Cittadella della Carità è un atto di coraggio,un gesto forte di attenzione a Taranto e al suo territorio” , è la sintesi dell’omelia che l’arcivescovo di Taranto Mons. Filippo Santoro ha tenuto martedì sera alla Cittadella della carità in occasione dei 50 anni di vita consacrata di Suor Josepha Del Giudice, Missionaria del Sacro Costato, che da vent’anni presta con amore il suo servizio nella Cittadella.

In un Auditorium gremito, l’Arcivescovo mons. Filippo Santoro ha presieduto la concelebrazione. Con lui dieci Sacerdoti, tra i quali il presidente ed il vicepresidente del CdA della Cittadella, mons. Franco Semeraro e mons. Emanuele Tagliente.

L’Arcivescovo è determinato a custodire e preservare l’identità della Cittadella : “non un luogo di cura come gli altri, ma di tenerezza e di accoglienza, un luogo valido per la sua professionalità alta”. Mons. Santoro ha invitato a guardare con fiducia e a ritrovare la condivisione su un “progetto” di carità e su un progetto di servizio di alto profilo per tutto il territorio jonico.

“La vocazione che suor Josepha celebra oggi è la vocazione della Cittadella della Carità, che non può essere svenduta o ceduta. Mi è stato detto potevi fare correre la situazione, io ho detto no, come pastore voglio che l’opera sia portata avanti, perciò questa messa oggi ci impone di rilanciare il progetto della Cittadella. La presenza delle suore e dei sacerdoti indica che è l’opera della diocesi , della chiesa” .

Mons. Santoro parla senza indugi, con fermezza e chiarezza, indicando il cammino della Cittadella, che è in assoluta continuità con l’opera voluta da mons. Motolese. Ringrazia la Comunità della Suore Missionarie del Sacro Costato, volute da mons. Motolese nella Cittadella, perché rappresentano la tipologia di struttura che rende diversa la Cittadella dalle altre cliniche.

“Mi sono trovato – continua mons. Santoro – ad ereditare un’opera molto grande, che però avevamo perso; dovevamo scegliere se venderla o tenerla e farla continuare ad essere ciò che mons. Motolese voleva. Ed io con i sacerdoti mi sono detto: dobbiamo rischiare, ma vale la pena, dobbiamo essere pronti a fare sacrifici, ma con la carità, che si trasmette con la semplicità del cuore, con l’amore innanzitutto”.