ROMA – Come l’anno che sta per concludersi, anche il 2009 sarà caratterizzato da una “sconvolgente crisi finanziaria”, a cui la classe politica e i cittadini – uniti, come nel dopoguerra o durante la lotta al terrorismo – devono dare una risposta forte, unitaria. Perché è possibile che da questa congiuntura difficile esca un Paese “più giusto”. In che modo? Trasformando questo momento così buio in un’occasione “per impegnarci a ridurre le sempre più acute disparità nei redditi e nelle condizioni di vita; per riformare un sistema di protezione sociale squilibrato e carente; per elevare le possibilità di istruzione e di ascesa nella scala sociale”.
E’ questo l’appello forte, ottimista pur nella crudezza dell’analisi di ciò che non va, contenuto nel tradizionale messaggio d’auguri di fine anno del presidente della Repubblica, trasmesso alle 20,30 a reti unificate. Circa quattordici minuti (otto cartelle e mezzo, se lo traduciamo in testo scritto) in cui Giorgio Napolitano parla soprattutto della crisi. Anche se l’inizio è centrato su tutt’altro argomento: l’attuale conflitto in Medio Oriente, “tragica spirale di violenza e di guerra” che va fermata “per riaprire la strada della pace”. Un passaggio inevitabile, visti i giorni che stiamo vivendo. Ma che, piazzato così in testa, assume un’importanza ancora maggiore.
Le parole-chiave. Al di là del leitmotiv della crisi che va vissuta come occasione per cambiare le disfunzioni del sistema Italia – e in un’ottica di concordia nazionale – il messaggio del capo dello Stato contiene alcuni concetti forti, pronunciati con particolare enfasi. E che corrispondono ai temi che maggiormente preoccupano i cittadini: occupazione, cassa integrazione, precari, in primo luogo. Ma anche redditi, clima, energia, ambiente, scuola, studenti, banche. E ancora frasi come “ristabilire trasparenza e rigore nell’uso del denaro pubblico”; o “l’unica cosa di cui aver paura è la paura stessa” (citazione di Franklin Delano Rossovelt). Non manca un accenno alla questione morale: i politici possono riacquistare fiducia solo “esprimendo un nuovo costume, ispirato davvero e solo all’interesse pubblico”.
La crisi. E’ l’architrave su cui regge l’intero discorso, qualcosa che ci obbliga “a guardare in faccia ai pericoli a cui è esposta la società italiana”. Per limitarne l’impatto, bisogna “affrontare decisamente le debolezze del nostro sistema”, e utilizzando la crisi stessa come “un’occasione per liberarcene”. Tra i punti più gravi dell’attuale situazione, il presidente cita il lavoro che comincia a mancare, la cassa integrazione, i precari a cui non rinnoveranno i contratti, le famiglie (in particolare quelle con bambini) che non riescono a tirare avanti. “Povertà è parola che esitiamo a pronunciare”, dice; ma “sono comunque troppe le persone che stanno male”. Soprattutto nel Mezzogiorno.
Le ricette. La prima tra quelle citate è la necessità di ridurre le disparità sociali. Poi c’è l’ambiente, le cui esigenze di salvaguardia vanno utilizzate come stimolo per un nuovo sviluppo economico; l’attenzione al sistema formativo (e qui c’è un riferimento al “valido apporto delle rappresentanze studentesche”); la possibilità di valorizzare il nostro patrimonio culturale.
L’unità nazionale. Dopo aver ricordato gli interventi del governo per rinforzare il nostro sistema bancario, l’importanza del Parlamento, la necessità di un clima politico “di reciproco ascolto e senza pregiudiziali chiusure”, Napolitano paragona l’attuale situazione al dopoguerra, o al periodo della lotta al terrorismo. Invocando lo stesso clima di coesione: “Dobbiamo riuscirci anche ora”, avverte. Serve insomma “un’autentica reazione vitale, come negli anni più critici del nostro Paese”.
Il finale. Il capo dello Stato nell’ultima parte del suo messaggio ricorda i principi costituzionali di “libertà, solidarietà, uguaglianza di diritti”; ringrazia per le manifestazioni di simpatia e fiducia nei suoi confronti; e saluta non solo “tutti gli italiani”, ma anche “tutti coloro che venendo da lontano operano in Italia nel rispetto delle regole e meritano il pieno rispetto dei loro diritti”. Un altolà a qualsiasi forma di pregiudizio o di razzismo.
Fonte: La Repubblica