La ricerca italiana, terapie alternative per il tumore prostatico – Lo Stradone

La ricerca italiana, terapie alternative per il tumore prostatico

Negli ultimi anni il tumore prostatico è diventato uno dei temi più studiati; nonostante i progressi nei trattamenti la percentuale di malattia nei paesi europei è aumentata. Molti uomini danno scarsa importanza al tema, e si limitano notevolmente nella prevenzione del problema, tendendo a sottovalutarlo.

Seppur non esiste una prevenzione primaria specifica per il tumore della prostata sono note alcune utili regole comportamentali come mantenere una dieta regolare e praticare attività fisica quotidiana, essendo uno dei principali fattori di rischio l’età. Nelle sue fasi iniziali, il tumore della prostata è asintomatico e viene diagnosticato in seguito alla visita urologica, che comporta esplorazione rettale, o controllo del PSA (Antigene prostatico specifico) con un semplice prelievo di sangue.

Quando la massa tumorale cresce, dà origine ai primi sintomi di difficoltà a urinare o bisogno di urinare spesso, dolore e sangue nelle urine. Oggi sono disponibili molti tipi di trattamento per il tumore della prostata ciascuno dei quali presenta benefici ed effetti collaterali specifici.
Quando si parla di “terapia attiva” la scelta spesso ricade sulla chirurgia radicale.
Per i tumori in stadi avanzati, invece, il bisturi da solo spesso non riesce a curare la malattia e vi è quindi la necessità di associare trattamenti come la radioterapia o la ormonoterapia.

Quando il tumore della prostata è in uno stadio metastatico, a differenza di quanto accade in altri tumori, la chemioterapia non è il trattamento di prima scelta. In questi anni un gruppo di ricerca del CNR di Bologna, ha portato a termine un progetto che si è concluso con la sintesi di una molecola all’avanguardia impiegabile nella Terapia Fotodinamica.
Gli studi sono stati condotti in vitro, su cellule tumorali di prostata e cellule in fase avanzata di tumore metastizzato. La molecola nota con la sigla DR2 è in grado di essere internalizzata dalle cellule maligne e di funzionare come foto sensibilizzatore, cioè generare radicali in seguito a stimolazione luminosa, da ciò scaturisce la tossicità del DR2 sulle cellule tumorali.

La sperimentazione in vitro è uno stadio ancora lontano dall’impiego in vivo, ma i risultati ottenuti offrono comunque una buona speranza ed una nuova frontiera d’ indagine.
La ricerca e la medicina si muovono in simbiosi generando continui progressi affinchè il cancro rimanga una parola e non una sentenza.

Emanuela Saracino
*Ricercatrice presso Consiglio Nazionale delle Ricerche