Carrisi supera se stesso con “La ragazza nella nebbia” – Lo Stradone

Carrisi supera se stesso con “La ragazza nella nebbia”

L’esordio da regista al cinema per lo scrittore e sceneggiatore Donato Carrisi non poteva essere migliore. La sua ragazza nella nebbia parte dal testo letterario per trasformarsi in immagini da film grazie a un cast straordinario.

Il film, infatti, è la trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Donato Carrisi pubblicato da Longanesi nel 2015. Non poteva esserci protagonista migliore se non Toni Servillo nel ruolo di Vogel, agente speciale che viene inviato in una cittadina isolata di una sperduta valle montana per investigare sul caso di una sedicenne scomparsa.

Servillo, sempre accompagnato dal suo cappotto griffato Tagliatore, utilizza questo strumento di scena come un fedele compagno di scena ricordando l’abbigliamento che nell’immaginario collettivo richiama ai celebri commissari da schermo cinematografico e televisivo.

Quello di Carrisi è un thriller complesso, che si rivolge a un pubblico di appassionati del genere, ma che si lascia comprendere perché parla il linguaggio semplice della quotidianità con richiami alla cronaca recente e al vintage del repertorio cinematografico. Non lo fa direttamente, ma nei fatti, mostrando del tutto spontaneo l’accostamento a tanti casi di cui abbiamo sentito parlare in tv e gettando in pasto dei cinefili continui richiami cinematografici alla filmografia del passato.

La trama è complessa, ingarbugliata, e conserva i tratti e i linguaggi tipici del genere thriller, senza mai esagerare troppo con le distrazioni del pubblico che a metà del film si illude di avere in tasca la soluzione del caso. L’esito è del tutto inaspettato, insospettabile, direi inverosimile, ma lascia soddisfatto lo spettatore che resta appagato nella sua ricerca del colpevole. A un soggetto così complesso Carrisi ha affiancato una sceneggiatura lineare e funzionale all’architettura della trama. Le musiche di Vito Lo Re danno forza allo stato d’animo del pubblico in quel preciso momento della trama, trasformando le immagini in sentimento, senza essere mai troppo invasive. Carrisi ne gestisce con il contagocce il loro utilizzo.

È la cura di ogni dettaglio nel film che lascia particolarmente colpiti, ma più di tutto è la fotografia che lo rende straordinario, esattamente l’aspetto più trascurato dai registi esordienti, in cui invece Carrisi si esalta mettendo insieme inquadrature di paesaggi montani, volti e primi piani sugli occhi dei personaggi, azzeccati piani sequenza, ma soprattutto un grande utilizzo della luce – e soprattutto della controluce – in ogni scena.

È per queste ragioni che quella di Carrisi è una regia esperta, quasi incredibilmente, essa infatti mai appare quella di un esordiente, pur portandosi sempre dietro le commistioni del suo passato teatrale.

Per nulla lento, mai noioso, non scontato, costantemente alto il livello di attenzione, il film funziona e al pubblico piace.

Ottavio Cristofaro