Alfredo Quaranta: “Salutaci la Luna!” – Lo Stradone

Alfredo Quaranta: “Salutaci la Luna!”

Quando il saggio indica la luna, lo sciocco guarda il dito. Alfredo Quaranta insegnava a noi studenti ad alzare lo sguardo e a rivolgerlo verso il cielo e le stelle. Lo faceva con i suoi modi, sfacciati e irriverenti.

L’anno del mio quarto Liceo venni eletto rappresentante di istituto e, dopo aver condotto una pesante azione di protesta contro lo smaltimento delle scorie nucleari nel sito di Scanzano Jonico, assieme ad altri istituti scolastici della provincia di Taranto, proclamammo lo stato di autogestione. Eravamo in procinto del periodo natalizio e nell’auditorium della sezione scientifica del Liceo Tito Livio venne convocato un affollato Consiglio d’Istituto, esteso a una buona parte del corpo docente. Si sarebbe dovuta discutere la nostra comunicazione di autogestione che di lì a poco sarebbe partita.

Toccava a me prendere la parola. Sapevo di avere tutti contro, accanto a me c’era Amerigo (il mio collega rappresentante) e Alfredo Quaranta. «Sei senza palle», mi disse il prof. con un pizzico di sfida mista a provocazione. Mi alzai davvero per raggiungere il microfono, ma lui mi prese per un braccio e con grande spirito di protezione mi disse: «dove vai, guarda che ti fai male».

Sapevo che mi avrebbero massacrato. Ma per fortuna la storia andò diversamente e, seppur con qualche sforzo, riuscii a strappare un bel po’ di applausi e tornai a sedere, osservato a vista dallo sguardo severo e orgoglioso del grande preside di allora, Vincenzo Monaco, che nella carriera da professore e da dirigente scolastico è stato anche vice sindaco nella sua Massafra.

«Tu sei un figlio di puttana», mi disse Alfredo Quaranta e me lo disse ancora un’altra volta quando, qualche settimana più tardi, fondammo il giornale di istituto che decisi di chiamare “Tutti Fermi”, per citare proprio quell’Enrico Fermi a cui era dedicato il Liceo Scientifico. Ma per Quaranta quel nome era troppo fascista per i suoi gusti.

Si dovette ricredere, pur senza mai ammetterlo, quando – grazie a una bellissima redazione di ragazzi di allora, oggi divenuti affermati professionisti nei vari campi – si accorse che alla pubblicazione venne dato un taglio editoriale storico, romantico e di livello, pur conservando una cifra stilistica priva peli sulla lingua.

Ammetto apertamente di non aver mai capito nulla delle sue spiegazioni sulla teoria delle ombre, ma nel tardo pomeriggio Alfredo amava incontrare noi suoi studenti nella sua galleria d’arte “La luna di Glifada” che – di tanto in tanto – si trasformava in una sorta di piccolo Circolo di Mecenate. Per noi era l’occasione per confrontarci sulle cose del Mondo, al di fuori dei programmi scolastici.

Si parlava certamente di quanto fosse complesso, ma allo stesso tempo affascinante, lo studio dell’Argan (il nostro testo di storia dell’arte), della Casa sulla cascata progettata e realizzata dall’architetto Frank Lloyd Wright, dell’uso del calcestruzzo armato di Le Corbusier, ma – a dire il vero – si parlava anche di tante cose più frivole, di tutte quelle cose che sono tipiche dei giovani di quell’età. Alfredo aveva già i capelli bianchi, ma aveva la nostra stessa età.

Di pomeriggio no, ma di giorno in aula era spesso insopportabile, i suoi modi talvolta odiosi e fastidiosi, il suo fare talvolta incomprensibile, ma erano il suo modo – giusto o sbagliato – di temprarci nel fisico e nello spirito. E per questo gli abbiamo voluto bene e gliene vogliamo ancora.

Ora me lo immagino tra gli angeli, con la sua Alfa Romeo spider, con il tettuccio aperto a spiegare al Padre Eterno come stanno realmente le cose.

Dio mio, non controbattere perché tanto ha ragione lui!

 

Ottavio Cristofaro