La rivoluzione padana continua ed aggiunge un altro tassello nella propria battaglia. Parola d’ordine? Scrollarsi di dosso tutti i fardelli simbolo dello Stato centralista e autoritario. E si sa, quando il Carroccio colpisce non lo fa con la punta del fioretto, ma utilizza una pesante mannaia.
Questa è la politica «della Canottiera» inaugurata quattordici anni fa dal Senatùr che conosce i propri polli e sa come infervorarli: «Quando cantiamo il nostro inno, il Va’ pensiero – incalza Bossi alla festa della Lega a Ponte di Legno – tutti lo cantano perché tutti conoscono le parole, non come quello italiano che nessuno conosce». Dichiarazione alla quale il presidente dei Senatori del Pdl Maurizio Gasparri non fa attendere la replica: «L’Inno non si tocca. Non sopravvaluto le attività di propaganda estiva di Bossi».
Il Carroccio intanto chiude il cerchio. I tre simboli dell’Italia hanno avuto il ben servito. Era del cinque agosto scorso la proposta della Lega di equiparate il Tricolore ai vessilli regionali: «L’articolo 12 della Costituzione non include alcun riconoscimento ufficiale dei simboli identitari che contraddistinguono le Regioni». Non passa neppure una settimana e martedì 11 agosto arriva la seconda sparata: «La Lega esorta la Rai a mandare in onda le fiction di grande ascolto in dialetto con i sottotitoli». Così anche l’italiano diviene un impedimento per la realizzazione del leghista-pensiero: essere popolare tutelando l’originalità dei territori italiani nell’ottica di salvaguardare gli interessi del Nord.
Proprio sul ruolo del dialetto, questa volta visto in chiave scolastica, interviene anche il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli: «L’anno scorso a Ferragosto ho portato la bozza del federalismo fiscale che in meno di un anno è diventata legge. Oggi Bossi ha in mano la legge sui dialetti e vi garantisco che non passerà tanto di più per diventare legge». Una dichiarazione che incontra immediatamente parere negativo del vice capogruppo dei deputati del Pdl, Italo Bocchino: «Il disegno di legge sui dialetti di cui parla il ministro Calderoli è ben diverso da quello sul federalismo, non facendo parte del programma di governo. Non c’é pertanto nessun vincolo di maggioranza e non ci sarà la nostra disponibilità a votarlo».
E proprio sui rapporti con il partito di Silvio Berlusconi, Calderoli, tranquillizza: «Nel governo non c’è nessun ricatto, nessuna golden share della Lega. Abbiamo solo il peccato di avere avuto un grande maestro che ci ha insegnato e ci ha fatto capire che cosa vuol dire lavorare e fare andare la testa». Un maestro che, dopo essere tornato sul tema dei salari territorializzati («chi non li condivide non vuole l’applicazione del federalismo»), aver
elogiato il Capo dello Stato («Preferisco Napolitano a Ciampi. Napolitano non si è mai opposto al governo»)e aver lanciato una proposta per far tornare i giovani a lavorare la terra («Lo Stato potrebbe dar loro i terreni agricoli con un doppio risultato: farli rendere e dare una speranza per il futuro alle nuove generazioni») rispolvera i vecchi slogan: «La Lega non è nata solo per vincere le elezioni, ma per liberare la nostra gente dal centralismo romano. Non andrò in pensione fino a quando non avremo liberato la nostra gente da Roma ladrona».
Fonte: Il Tempo