Unione dei Comuni della Valle d’Itria: non solo rose e fiori – Lo Stradone

Unione dei Comuni della Valle d’Itria: non solo rose e fiori

A Cisternino, nei giorni scorsi, si è tenuto il secondo incontro tra sindaci finalizzato all’istituzione dell’Unione dei Comuni della Valle d’Itria dal quale è emersa la volontà dell’adozione di una sorta di “Carta d’intenti”.
Presenti i sindaci di Cisternino, Donato Baccaro; di Martina Franca, Franco Ancona; di Ostuni, Gianfranco Coppola; di Ceglie Messapica, Luigi Caroli; di Fasano, Lello Di Bari; di Alberobello, Michele Maria Longo; e di Locorotondo, Tommaso Scatigna.

Da molte parti l’Unione dei comuni è ritenuta strumento necessario per la risoluzione di alcune problematiche che riguardano le istituzioni così come le popolazioni coinvolte, mettendo insieme realtà ed esperienze affini.
Da molte altre parti si levano critiche a questo strumento inteso come sovra-Ente. A voler considerare gli scopi che, negli atti costitutivi, le Unioni di Comuni si prefiggono non c’è che da essere interamente d’accordo: condivisione delle competenze e delle risorse umane, razionalizzazione della spesa, sviluppo del territorio, ecc.. Se, tuttavia, si prendono in esame i risultati delle esperienze avviate dalle Unioni di Comuni, in particolare, nell’ultimo quadriennio, da quando cioè le gestioni associate sono diventate obbligatorie per i Comuni con meno di 5000 abitanti, qualche dubbio sulla riproducibilità su larga scala dei modelli di Unioni di Comuni noti diventa doveroso. Le Unioni sono nate per consentire soprattutto ai piccoli Comuni di superare il gap dimensionale ed accedere a modelli di gestione più efficienti. Tuttavia, per una sorta di eterogenesi dei fini all’origine non messa nel conto, le UdC sono diventate, in alcune regioni, lo strumento di sperimentazione di forme di nuovo governo locale di aree vaste e popolose, con Comuni che hanno una popolazione media anche di 20.000/30.000 abitanti, proprio come nel caso della costituenda Unione dei Comuni della Valle d’Itria.

E, del resto, è lo stesso Presidente dell’ANCI, Piero Fassino, a prendere le distanze da un modello di Unione dei Comuni che il suo predecessore, Del Rio, aveva ereditato e ribadito con la legge n. 56 del 7 aprile 2014.
Piero Fassino dichiarava:
“Lo strumento per favorire l’aggregazione dei Comuni c’è: sono le Unioni Comunali, che consentono di associare i Comuni senza metterne in discussione l’esistenza e l’identità. Quel che non c’è è una legge adeguata: l’attuale è infatti farraginosa e poco incentivante. E questo spiega perchè il numero delle Unioni costituite è ancora limitato. Eliminare dai vincoli del Patto di stabilità i Comuni che si associano in Unioni sarebbe un buon passo in avanti. Anche per questo l’Anci – che da tempo sollecita riforme che favoriscano le aggregazioni tra Comuni – ha avviato con il ministero delle Autonomie Locali la elaborazione di una nuova legge sulle Unioni che, rendendone la formazione semplice e conveniente, consenta la diffusione delle Unioni su tutto il territorio nazionale” (www.anci.it del 15 ottobre 2014).

Da un lato unire le forze per ottimizzare i servizi può essere un principio condivisibile, dall’altro, però, obbligare i Comuni a unirsi limita i principi di autonomia dei singoli enti.

o.cri.