È davvero sconsolante il panorama che lasciano intravedere le ultime inchieste della magistratura a Milano, con gli scandali che coinvolgono funzionari del Comune e poi l’arresto di un assessore regionale lombardo per voto di scambio: avrebbe finanziato la ‘ndrangheta per avere i voti necessari alla sua elezione. Scandali che si aggiungono ad altri scandali, come quello che tiene banco da un po’ sulla gestione “allegra” della regione Lazio. Soldi pubblici che diventano privati e una gestione del potere che appare clientelare, al limite dell’arroganza. “Amici” che si scambiano favori, trattamenti di riguardo, affitti facili, cene eleganti, assunzioni e lavori fittizi.
Tocca agli investigatori fare chiarezza su malaffare e illegalità, che naturalmente vanno provati, ben al di là delle fughe di notizie da atti che dovrebbero normalmente essere coperti dal segreto istruttorio. Tuttavia l’impressione che si ricava dalle notizie che si succedono – e non da poco tempo – è quella di una caduta senza freni, di una discesa continua, di un Paese nel quale la vita pubblica ha perso i riferimenti necessari alla legalità e al rispetto delle regole. Una volta si parlava di etica pubblica, quasi a completamento di quella personale. Ora sembrano termini del tutto fuori moda, a vantaggio di un senso di potere e di potenza che si traduce non di rado nella convinzione dell’impunità e in atteggiamenti spudorati.
Il danno di queste vicende è enorme. Non solo per le amministrazioni pubbliche o per l’erario, ma soprattutto per le comunità, per i cittadini. Viene infatti minato il senso di fiducia che si dovrebbe poter avere per le istituzioni, per le persone che le rappresentano, più in generale per quanti si dedicano al servizio amministrativo e politico. Le inchieste e i titoli dei giornali fanno pensare che non si salva nessuno, che dove si va a scavare si trova del marcio: nei palazzi della politica nazionale, lontani e un po’ autoreferenziali, ma anche nei palazzetti delle amministrazioni più vicine al territorio, nelle Regioni, nelle Province, nei Comuni.
Eppure non ci si può rassegnare. Anzitutto reagendo alle generalizzazioni e ricordando che i riflettori illuminano una piccolissima parte della realtà e che l’altra non è automaticamente della stessa specie. Secondariamente occorre risvegliare senso civico, occorrono “slancio ideale e senso morale”, come ha chiesto recentemente il presidente Napolitano. Serve una ripresa, convinta e capillare, di educazione alla legalità, a cominciare dalle scuole, con i più giovani, naturalmente più esposti e vulnerabili di fronte ai messaggi e agli esempi negativi di questa stagione piuttosto buia.
A chi tocca muoversi? Un po’ a tutti. Non si fa educazione se non insieme ed è veramente questa la sfida decisiva per la nostra società di oggi. Serve responsabilità da parte delle famiglie, della scuola, delle tante agenzie educative, dei media, della politica (quella che è davvero la forma più alta della carità). Ciascuno con la propria specificità. Forse è proprio il momento di costruire un nuovo patto sociale, che coinvolga le diverse generazioni e aiuti a superare questo tempo di crisi. E a non annegare nel pantano.
Alberto Campoleoni
Agensir