Il caso Sarah, media e società in un’eclissi della coscienza – Lo Stradone

Il caso Sarah, media e società in un’eclissi della coscienza

Centinaia di persone che si recano in “pellegrinaggio” ad Avetrana per il gusto di trovarsi “sul set” di una tragedia – ancora oggi, senza interruzioni, sotto i riflettori dei media – che con il passare dei giorni e delle ore rivela uno scenario sempre più complesso e difficile da districare, anche dopo la confessione dello zio di Sarah Scazzi, Michele Misseri, il passaggio di sua figlia, Sabrina, da persona “informata sui fatti” ad indagata e l’interrogatorio della madre di quest’ultima, nonché moglie dell’omicida, Cosima. Anna Oliverio Ferraris, docente di Psicologia dello sviluppo all’Università “La Sapienza” di Roma, parla di “psicodramma collettivo” e dà alcune indicazioni per “invertire la rotta”. Fausto Colombo, direttore dell’ Osservatorio sulla comunicazione dell’Università Cattolica di Milano, stigmatizza il clima di “imbarbarimento del tessuto sociale” che drammi come quello di Avetrana evocano e si scaglia contro l’“assoluzione preventiva” che i media ipocritamente si danno. Il SIR li ha intervistati.

Professor Colombo, Avetrana è in questi giorni teatro di un doppio assedio: dei media e della folla dei curiosi…
“Certamente si tratta di un fenomeno preoccupante, molto diffuso e da molto tempo, che mette in luce lo ‘slabbramento’ della coscienza civile e della solidarietà. È un fenomeno vecchio, basti pensare alle code di chilometri che si formano sulle autostrade per i curiosi che rallentano in prossimità degli incidenti. In questo caso però – come a Cogne, Erba, Garlasco, Perugia – c’è un accanimento particolare, ci sono i pellegrinaggi dell’orrore, le ‘visite’ nei luoghi del delitto. Tutto ciò fa venir meno l’idea di società civile: se poi ci aggiungiamo l’immagine della donna rumena buttata a terra nella metropolitana, tra l’indifferenza totale della gente, allora possiamo a pieno titolo parlare di inciviltà”.

Come giudica questo duplice atteggiamento?
“Si tratta, in definitiva, di un imbarbarimento del tessuto sociale, all’interno del quale i media hanno le loro responsabilità, perché rincorrono questa inciviltà di massa. Ma la cosa più grave a mio avviso – e la più difficile da accettare – è che rincorrendo questa inciviltà di massa i media fanno finta di processare se stessi. Un telegiornale, ad esempio, ha mandato in onda un servizio in cui prima si condanna il modo in cui la vicenda di Sarah viene raccontata e poi si racconta il fatto stesso nel solito modo in cui siamo abituati a vederlo sugli schermi. Una sorta di assoluzione preventiva, insomma, che i media si danno, che però nei fatti si rivela del tutto ipocrita, visto che non ne modifica le modalità di narrazione”.

Professoressa Oliverio Ferraris, tutto ciò non provoca “disorientamento” nell’opinione pubblica, e in particolare nei giovani?
“Quello a cui assistiamo, soprattutto in tv, è uno psicodramma collettivo, dove ognuno di noi, con le sue interpretazioni, può influire, distorcendone la verità. Le televisioni hanno amplificato, diffuso e trasformato questa vicenda tristissima in una specie di reality, con una narrazione dove le interpretazioni sono già inserite. La madre di Sabrina, ad esempio, viene definita ‘una nobile matriarca del Sud’. In un programma della domenica pomeriggio, la conduttrice si è comportata come se fosse un inquirente, sostituendosi completamente ai giudici: un’operazione che non dovrebbe essere tollerata. I personaggi coinvolti, proprio perché sanno che c’è la telecamera, vengono indotti a recitare loro stessi una parte, che poi viene cucita loro addosso dai media. Quello di Avetrana è un caso molto drammatico e molto negativo: è un caso limite di patologia familiare, che può indurre il pubblico a generalizzare, a pensare che tutte le famiglie siano marce. Di fronte a ciò, non si può dire soltanto ‘ormai è così’: si può sempre tornare indietro. Non è obbligatorio andare in questa direzione: la curiosità morbosa, il voyeurismo, l’attrazione del pubblico verso la tv perché dà notorietà alle cose come unica garanzia di successo”.

Come invertire la rotta?
“Con un supplemento di lavoro educativo, insegnando ai propri figli la differenza tra le emozioni – quelle che in genere suscita la tv e con le quali ci si identifica – e i sentimenti, di cui occorre fare esperienza in primo luogo imparando a conoscere a fondo noi stessi. C’è inoltre tutto l’impegno nel vasto campo dell’educazione ai media, e ai nuovi media, per rendere il pubblico più attento e in grado di decodificarne i messaggi e aiutare i ragazzi – già nelle scuole – a ‘familiarizzare’ con i piccoli e grandi trucchi di cui l’universo multimediale spesso si serve, inducendo i giovani a scambiare le emozioni che provano in tv con la realtà”.

agensir