La decisione di attribuire il premio Nobel per la medicina al britannico Robert Edwards per i suoi studi sulla fecondazione in vitro suscita qualche legittima perplessità. Se avere un figlio è certamente una cosa buona, non si possono dimenticare i mezzi messi in atto e le circostanze. Non è dunque sufficiente pensare che gli studi sulla fecondazione umana siano semplicemente questioni tecniche e, neanche, si può accettare che, dal momento in cui sono possibili, non vi è alcun male nel ricorrere a questi mezzi. La fecondazione assistita dopo trent’anni non ha ancora risolto gli aspetti etici più gravi: sostituzione dell’atto coniugale con un intervento da laboratorio, perdita di embrioni, congelamento degli stessi, possibilità di utilizzo di gameti sessuali non appartenenti alla coppia, etc.
Sono questioni sufficientemente note, sulle quali non è necessario tornare. Si può, invece, fare un’altra riflessione: lo impone, per così dire, il premio Nobel, che, come tale, ha un significato culturale molto alto, perché dice come l’uomo sta costruendo il suo futuro. A metà anni Cinquanta del secolo scorso, Romano Guardini (1885-1968), uno dei geni filosofici e teologici più alti del nostro tempo, pubblicava un saggio sulla natura del potere, cioè sulla capacità dell’uomo contemporaneo di utilizzare le conoscenze scientifiche con finalità tecniche. Il potere, di per sé, è pura disponibilità: esso riceve il suo senso attraverso l’uomo che ne prende coscienza, che ne decide, che lo trasforma in azione, che ne assume la responsabilità. “Non esiste potere senza correlativa responsabilità. Esistono le energie irresponsabili della natura, o meglio le energie che operano nell’ambito della necessità naturale e non in quello della responsabilità. Ma non esiste un potere irresponsabile dell’uomo” (“Il Potere”).
Il potere, l’intervenire con la tecnica sulla dimensione procreativa della persona è sempre un’istanza umana, di cui il soggetto deve assumersi la responsabilità. Sì, il potere ha un carattere essenziale, quello di essere l’energia di cui il soggetto che lo pone è fortemente responsabile. “In sé il potere – scrive ancora Guardini – non è né buono, né cattivo, ma riceve il proprio senso dalla decisione di colui che lo esercita”. Esso è retto sostanzialmente dalla libertà. Ora, come è intesa oggi questa? Si sa: come autonomia assoluta, come capacità di fare tutto e, in altre circostanze, il contrario di tutto. Il potere tecnologico diviene, così, il mezzo operativo della libertà. In questi anni si è visto come le tecniche di fecondazione assistita siano state la risposta non semplicemente ad un desiderio, ma ad una concezione di libertà, espressa addirittura come forma di diritto: il diritto ad un figlio!
Guardini metteva in guardia contro l’uso cattivo del potere, che sempre conduce al sopruso, che si ha quando il più forte – nel caso della fecondazione assistita è l’adulto – esercita sul più debole: l’embrione creato e minacciato, il figlio concepito in un contesto non umano. Il pericolo è che il potere sia esercitato a partire da una volontà che ha un orientamento morale falso, cioè non ha più un’obbligazione morale. Così si comprende che il potere tecnologico chiede di essere ben governato. Governare è una posizione umana, morale e spirituale. Contiene la coscienza di come sarà il mondo futuro e come esso è affidato ad ogni uomo che lo occupa. Nessuna legge sarà mai sufficientemente adeguata se l’uomo – lo scienziato come la persona comune – non sarà convinto di essere il custode e il promotore dell’autentico progresso. E questo non è mai un mero fatto tecnico, ma anche antropologico e morale.
L’uomo deve giungere al dominio del mondo, ma restando in un rapporto di obbedienza da Dio e attuando quel dominio come servizio. “Egli deve divenire signore, ma restando fedele all’immagine di Dio che è in lui, e senza pretendere di essere lui l’archetipo”. La fecondazione assistita è davvero un servizio per l’umanità o non piuttosto l’occasione per ingenti guadagni economici a favore dei centri che la praticano? Quanti sforzi sono impiegati per studiare e, nella misura del possibile per guarire l’infertilità, a fronte delle immense energie adoperate per sviluppare i centri di fecondazione assistita?
Tanto è più grande il potere, tanto più forte è la tentazione di scegliere la via più facile, quella della violenza. Sì, “essere in possesso di un potere che non è definito da una responsabilità morale e non controllato da un profondo rispetto della persona, significa distruzione dell’umano in senso assoluto”. Un Nobel per la medicina comporta considerazioni non parziali, ma adeguate a ciò che costituisce il bene globale della persona.
Marco Doldi
fonte: agensir.it