Un mese senza Porta a Porta, Annozero, Ballarò, e nemmeno L’Ultima parola. Il consiglio di amministrazione della Rai, nella difficile scelta di come applicare le regole dettate dalla Commissione di Vigilanza, predilige la via più drastica e decreta il silenzio dei talk show. Fino alla fine della campagna elettorale non ci saranno approfondimenti anche se questi programmi potrebbero lasciare il posto alle tribune elettorali, ma le prime variazioni Rai di palinsesto propongono per stasera e domani due film qualunque al posto delle storiche trasmissioni. Anche Lucia Annunziata, che in teoria potrebbe rimanere con il suo In mezz’ora, sceglie per protesta di non andare in onda.
La decisione storica spacca ancora una volta il Cda, che vota cinque a quattro, con da una parte il presidente Paolo Garimberti che esprime un no «convinto» e dall’altra il direttore generale Mauro Masi, secondo il quale la decisione presa «era l’unica concretamente possibile per adempiere al regolamento varato dalla commissione di Vigilanza e di escludere così il rischio di sanzioni per l’azienda». Il danno, sostiene Garimberti, ci sarà comunque – era stato valutato nei giorni scorsi intorno ai 3 milioni di euro di mancata pubblicità – e inoltre il presidente ha «seri dubbi sulla costituzionalità di alcune parti del regolamento».
La bagarre scoppia nel giorno in cui il verde Angelo Bonelli viene ricoverato d’urgenza in seguito allo sciopero della fame portato avanti per protestare «contro la censura sui temi ambientali e contro la violazione del pluralismo». In suo sostegno interviene anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano che, informato delle gravi condizioni di salute di Bonelli, rinnova il richiamo al pieno rispetto del principio del pluralismo nella comunicazione politica.
E in serata interviene Garimberti telefonando a Bonelli e promettendo più attenzione ai temi ambientali nei programmi del servizio pubblico.
Non saranno comunque i talk show ad occuparsene, almeno fino alla fine di marzo, e il presidente della Vigilanza Sergio Zavoli, sottolinea che «si pone, a questo proposito, l’esigenza che tutti gli altri spazi informativi, a cominciare dai Tg, corrispondano ai criteri del più scrupoloso pluralismo, secondo gli indirizzi ribaditi dalla Commissione parlamentare e il ripetuto auspicio del Capo dello Stato».
Così come il Cda anche la politica si divide in due. Per il sottosegretario Paolo Bonaiuti il Consiglio «non ha fatto altro che seguire puntualmente le indicazioni del Parlamento».
«E la par condicio – continua – non è certo un meccanismo che abbiamo inventato noi, visto che l’abbiamo sempre definita legge bavaglio». Gli fa eco il capogruppo Pdl al Senato Maurizio Gasparri, secondo il quale «ora il vero problema è quello di cambiare le norme vigenti, non per abolire le regole ma per vararne di più moderne per coniugare l’equilibrio con un’informazione adeguata, sia in periodo elettorale che non».
Per Paolo Gentiloni, responsabile comunicazioni del Pd, il silenzio scelto oggi era «l’obiettivo del regolamento-bavaglio, imposto dal centrodestra in Vigilanza: cancellare i programmi in cui si danno notizie e si confrontano opinioni diverse, affidando al filtro dei soli tg l’attualità in campagna elettorale». E si augura che anche «la decisione di oggi sia reversibile e non costituisca l’ultimo capitolo di una brutta storia per la libertà di informazione». Per Fabrizio Morri, capogruppo del Pd in Vigilanza, si vogliono «spegnere i talk show perchè ritenuti, evidentemente, scomodi dal governo. È un atto di inaudita gravità e lo consideriamo una vera e propria lesione ad ogni principio di autonomia aziendale e di cultura democratica». Ma la protesta sale e domani sera i conduttori scenderanno in strada, a Via Teulada, per manifestare rabbia e dissenso già espressi oggi in una conferenza stampa, si moltiplicano le offerte di spazio per i loro programmi dalla rete.
La Stampa