“Chi lo cucirà il mantello di San Martino?” Una domanda alla quale non si può dare risposta, vista l’assoluta crisi che il distretto del tessile sta attraversando. Come risaputo, capitale di questo distretto, il secondo in ordine di importanza dopo quello di Prato, è Martina Franca. Una crisi che sta mettendo in ginocchio molte famiglie costrette a trovarsi senza più alcuna certezza lavorativa. Nel giorno della festa del nostro santo patrono, di fronte alla maestosità di Palazzo Ducale, la manifestazione organizzata da Filtea-Cgil e Femca-Cisl, per chiedere agli amministratori un valido sostegno a supporto delle realtà imprenditoriali, ormai decimate da questa forte congiuntura che dura da troppo tempo e alla quale bisognerà rispondere con politiche serie ed adeguate. Circa 350 persone (stima ufficiosa della Questura) scese in piazza, in una città che non è certo famosa per le forme di partecipazione attiva da parte dei cittadini, ma l’aspetto più interessante (e forse più preoccupante) era che a manifestare, sotto le bandiere delle sigle sindacali, vi erano anche gli imprenditori. Uno dei pochissimi esempi in cui operai e imprenditori riconoscono un obiettivo comune da perseguire: quello dell’occupazione. Addirittura molti “capi di azienda” (scusate il gioco di parola ndr) hanno disposto la chiusura anticipata rispetto agli orari tradizionali, proprio per favorire la partecipazione alla manifestazione da parte dei propri operai. Circa un migliaio i cassintegrati su circa 3000 impiegati nelle confezioni, sono numeri che fanno paura se si pensa che solo pochissimi anni fa gli impiegati erano il doppio. Alla manifestazione di ieri erano presenti i segretari provinciali delle due organizzazioni per una manifestazione unitaria alla quale hanno preso parte anche il sindaco di Martina Franca, Franco Palazzo, e l’assessore provinciale al Lavoro, Vito Miccolis. Nessun parlamentare locale, assenti non giustificati anche i consiglieri regionali.
I problemi sono quelli che tutti conoscono: regolamentare una volta per tutte l’import-export, incrementare i controlli sui falsi e soprattutto favorire una politica di promozione del “Made in Italy”, che non può più rappresentare solo una parola, ma deve essere messo in pratica se davvero si vuole venire fuori da questa situazione. Il termine delocalizzazione sta diventando sinonimo di disoccupazione. Bisognerebbe favorire, inoltre, l’aggregazione imprenditoriale tra le diverse aziende del territorio, iniziando a pensare ad una sorta di Consorzio, che possa unanimemente favorire le esigenze delle aziende, in una parola fare Sistema, ma per questo la strada sembra essere ancora molto lunga e poi noi martinesi siamo un po’ duri di testa. Questa manifestazione però, è un buon segnale, sintomatico del fatto che si dovrà continuare su questa strada. Il sindaco ha proposto, intanto, l’apertura di un tavolo tecnico per discutere della questione.
“La politica che ha portato gli imprenditori a delocalizzare all’estero le produzioni del tessile, fiore all’occhiello dell’economia martinese – dicono i Comunisti Italiani – è una delle cause di questa crisi. Il Governo italiano – si legge nella nota – elargisce soldi e finanziamenti ad imprenditori senza scrupoli, senza contropartite in termini di occupazione. Nessun intervento serio – concludono – viene fatto per ridurre la disoccupazione al sud, né si prendono provvedimenti contro il precariato e lo sfruttamento dei giovani”.
Ottavio Cristofaro