Nel social network Facebook, il gruppo “Uccidiamo Berlusconi”, inaugurato nel settembre del 2008, è ancora attivo. Ieri sera alle 20 contava 12.333 iscritti; dopo poco più di un’ora se n’erano iscritti altri 600. Secondo l'”amministratore” del gruppo, si tratta di una iniziativa goliardica, che pubblica “affermazioni bizzarre”.
In realtà, basta scorrere i messaggi “postati” dagli iscritti per capire che è un catalogo di odio. Succede, nella Rete. Il web consente l’anonimato, e con l’anonimato il manifestarsi gratuito delle pulsioni più elementari e scandalose. Un incidente serio era già accaduto qualche giorno fa, allorché un giovane impegnato nel Pd di Vignola si era chiesto perché nessuno assoldasse un killer per togliere di mezzo il capo del governo. Adesso, la scoperta che 12 mila sciagurati si sono iscritti a un gruppo intitolato all’uccisione del premier peggiora gravemente la situazione. Perché è l’espressione collettiva di un’avversione totale, senza scampo, irriflessa: una specie di autismo espressivo, l’indizio di una malattia psicologica priva di antidoti culturali.
Barbarie, insomma. Barbarie modernissima e arcaica insieme, come se tra i frequentatori del web, cioè nella parte più aggiornata della società italiana, allignasse un virus capace di spegnere l’intelligenza e di liberare gli istinti più insidiosi. Certo, basta un clic, cioè un gesto quasi automatico, per aderire ai gruppi d’interesse più inquietanti. Si può anche immaginare che, presi uno per uno, gli iscritti al gruppo “Uccidiamo Berlusconi” giustificherebbero facilmente e scioccamente la loro iscrizione e i messaggi inviati, magari con un’alzata di spalle: leggerezze senza importanza. Tanto è vero che su Facebook ci sono circa 500 siti con un titolo che comincia con “Uccidiamo…”. E che nel frattempo è stato fondato un altro gruppo, simmetrico, intitolato “Uccidiamo chi vuole uccidere Berlusconi”.
Questioni di revanscismo. Ma si può anche legittimamente pensare che alcuni individui, fra le migliaia di antiberlusconiani iscritti al gruppo, siano davvero convinti che la politica italiana possa cambiare soltanto con un colpo violento. Oppure che, più semplicemente, affidino a una violenza figurata la loro frustrazione politica: “Un anonimo autocarro alle quattro di mattina, il prelievo, e poi nulla”, come in un film di spionaggio, come i rapimenti e le vendette in un regime dittatoriale.
Tutto questo ha effetti penosi sul clima politico, e non soltanto perché consente alla destra più animosa di alimentare polemiche che ogni volta alludono a una presunta simpatia della sinistra verso gli estremismi; ma perché contribuisce in primo luogo ad alimentare un clima di avversione di cui per molte stagioni proprio la sinistra (“i comunisti”) è stata ed è il bersaglio principale. Non è facile oggi, anzi è praticamente impossibile, immaginare atti reali di violenza politica ai danni di Berlusconi o altri uomini di governo. Anche il vecchio episodio del treppiede scagliato contro il Cavaliere, qualcuno lo ricorderà, apparteneva al genere degli atti folli quanto innocui. Ma le espressioni più o meno goliardiche, più o meno bizzarre, si collocano inevitabilmente a fianco delle lettere minatorie firmate da sigle terroristiche minacciose quanto sconosciute, e danno il loro contributo a illividire l’atmosfera politica.
Se è possibile, tuttavia, “Uccidiamo Berlusconi” ha un significato profondo ancora più disarmante, in quanto testimonia una specie di abdicazione dalla politica. Certo minoritaria, legata a ispirazioni dettate dalla solitudine rancorosa della Rete, e tuttavia a suo modo significativa. Perché rappresenta una rinuncia implicita ai metodi e alle procedure della politica, come se fossero inutili. È una specie di antipolitica rovesciata, che mostra un profilo speculare all’antipolitica stessa, di cui Berlusconi è stato un maestro. E che sicuramente si sottrae al perimetro delle convenzioni che regolano la polis. Sembra quasi di assistere a una secessione silenziosa, a un esodo muto e rancoroso, accompagnato da una scia di risentimenti che si sottraggono a ogni norma politica e a ogni codice di civiltà. Probabilmente è in questa rinuncia, in questa secessione irresponsabile, il messaggio più preoccupante che proviene silenziosamente del web.
Fonte: La Repubblica