Sindrome di Down, arriva il test del sangue – Lo Stradone

Sindrome di Down, arriva il test del sangue

– MILANO – Un semplice esame del sangue per scoprire se un feto è affetto dalla sindrome di Down. Il test, che apre nuovi orizzonti sul fronte della medicina, è stato messo a punto da un gruppo di ricercatori californiani della Stanford University. “Basta un piccolo campione di sangue della madre – assicura Stephen Quake, il medico che guida questa ricerca – per capire se c’è traccia della malattia”. Il test, che nel giro di due-tre anni potrebbe essere disponibile negli ospedali in tutto il mondo, è stato condotto con successo su un campione di 18 donne.
A tutte è stato prelevato il sangue per verificare tracce della sindrome di Down e in nove casi il test ha definito, in maniera chiara e corretta, la presenza dell’anomalia fetale. Tutto questo senza dover ricorrere alle tecniche tradizionali della diagnosi prenatale, basate, tra l’altro, sull’amniocentesi o la villocentesi, metodologie di gran lunga più invasive. Infatti, nell’uno-due per cento dei casi è segnalato il rischio di aborto.
La sindrome di Down si verifica quando nel sangue ci sono tre copie del cromosoma 21, invece di due. E con il test californiano si va a intercettare questa anomalia. “Il nostro test – precisa Stephen Quake – è in grado di identificare e contare i frammenti del Dna ed è capace di intercettare anche il più piccolo incremento del cromosoma 21”. Tanto che il test, una volta messo a punto, servirà per scoprire anche altri difetti potenzialmente fatali per il feto come la sindrome di Edwards e di Patau, due malformazioni molto gravi e complesse.
Ora, i ricercatori californiani della Stanford University si stanno organizzando per valutare la validità del test su ampia scala, con un campione di donne molto più numeroso. “Questo test non invasivo sarà più sicuro delle tecniche usate finora – ha sottolineato Quake – oggi, in tutto il mondo, quando una donna che aspetta un figlio vuole sapere se il feto che porta in grembo è sano o affetto da sindrome di Down, si sottopone solitamente ad amniocentesi, esame che prevede l’utilizzo di un ago per andare a prelevare un piccolo campione del liquido che avvolge il feto. E tutto questo comporta un rischio abortivo”. Secondo i dati statistici del Royal College inglese di Ostetricia e Ginecologia una donna su cento, fra quelle che si sottopongono all’amniocentesi, rischia di perdere il feto. Il pericolo aumenta con il prelievo dei villi coriali e passa da uno a due casi ogni cento.
Il test che potrebbe segnare una svolta nella storia della diagnosi prenatale è, dunque, più sicuro dei metodi tradizionali e, in più, può essere effettuato alla decima settimana e non alla quindicesima come nel caso dell’amniocentesi. Non solo: i risultati sono disponibili dopo due giorni, contro le tre settimane necessarie per l’altro esame. “Fare prima questo test – osserva il dottor Quake – serve anche a garantire molto più tempo a una madre per decidere cosa fare di fronte a una eventuale anomalia”. Il test del sangue ha però messo in allarme l’Associazione internazionale che si occupa di Sindrome di Down. “Nessuno mette in discussione l’importanza di questo esame non invasivo – spiega Carol Boys, responsabile dell’associazione – ma è altrettanto importante dare informazioni precise ai genitori su cosa è questa malattia. Noi non consideriamo la sindrome di Down una buona ragione per abortire, ma riconosciamo che un test del sangue in grado di individuare tempestivamente l’anomalia dà ai genitori più tempo per riflettere e decidere”.

LAURA ASNAGHI
Fonte: La Repubblica